LA BASILICA DI SANTA SOFIA E IL MUSEO DEL SANNIO di MARIO COLANGELO
LA BASILICA DI SANTA SOFIA E IL MUSEO DEL SANNIO, IL GIOIELLO DELLA LONGOBARDIA MINOR
MARIO COLANGELO – DELEGAZIONE RAM DI BENEVENTO
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LA BASILICA DI SANTA SOFIA E IL MUSEO DEL SANNIO, IL GIO IELLO DELLA LONGOBARDIA MINOR
MARIO COLANGELO – DELEGAZIONE RAM DI BENEVENTO
Ci sono luoghi che assemblano dentro le proprie pietre il significato ultimo di un paese e di una comunità, luoghi che sanno essere poli attrattivi di forte impatto, impregnati come sono di storia e cultura, tanto da essere infine apportatori di valori ancestrali riconosciuti dall’intero popolo. Tali luoghi sono simili a grandi madri che allargano le braccia verso l’umanità. Di solito questo ruolo materno è riconosciuto alle chiese, spesso indicatori dell’integrità o meno dell’umanità che vive in quel contesto urbano. Se una chiesa è in buono stato conservativo è sintomo di una certa coesione sociale, se invece è in fase di abbandono è sintomo di una deriva pericolosa, che vira verso il degrado, il disfacimento e la perdita di memoria di quella comunità.
Tra le chiese campane più ricche di storia, maggiormente decantate e famose, è sicuramente la splendida Basilica di Santa Sofia in Benevento, gioiellino architettonico che nel 2011 è riuscito a ottenere il prestigioso titolo di Bene protetto dall’UNESCO, in quanto rientrante, assieme ai complessi di Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio, Spoleto, Campello sul Clitunno e Monte Sant’Angelo, nel sito seriale “Longobardi in Italia: i luoghi del potere”. La fondazione della basilica fu avviata subito dopo la salita al trono del duca longobardo Arechi II, avvenuta nel 758, che volle farne il simbolo del suo mecenatismo e della grandeur di Benevento come centro culturale e artistico di primo piano della Lombardia minor. Completato almeno nelle strutture entro il 760, l’edificio religioso ospitò le reliquie dei Dodici Fratelli Martiri, poi venne consacrato e terminato entro il 26 agosto 768, quando furono traslate le reliquie di San Mercurio di Cesarea. Con una donazione del 774 la chiesa fu infine intitolata alla Divina Sapienza di Cristo. L’edificio divenne così santuario del principe e dell’intero organismo sociale e territoriale posto sotto il suo dominio, la nazione beneventana. Con la sconfitta di Desiderio ad opera di Carlo Magno, avvenuta nel 774, e con l’elevazione del Ducato di Benevento a Principato, Arechi si autoproclamò princeps. E’ così che Benevento divenne l’ultimo baluardo dell’autonomia longobarda. La stessa chiesa assunse il prestigio di tempio nazionale dei Longobardi e, dopo la sconfitta di Desiderio, ospitò le reliquae longobardorum gentes, divenendo sacrario della stirpe. In tale periodo Arechi vi fondò anche un monastero femminile benedettino, dipendente da Montecassino, retto dalla sorella Gariperga. Nel X secolo alle suore subentrarono i monaci, il cui primo abate fu Orso. Tra l’XI e il XII secolo numerosi pontefici concessero all’abbazia molti privilegi e donazioni, accordando l’autonomia da Montecassino e il diritto dell’elezione dell’abate. Nel XII secolo questo centro religioso raggiunse il suo apogeo, anche per il prestigio ottenuto dal suo “scriptorium” dove si sviluppò la celeberrima scrittura beneventana. Nel 1455 l’abbazia passò ai canonici benedettini e fu concessa da Papa Callisto III in commenda al nipote Rodrigo Borgia (futuro Papa Alessandro VI). Nel 1595 il cardinale Ascanio Colonna, abate commendatario, ottenne la sostituzione dei benedettini con i canonici Regolari della Congregazione del Santissimo Salvatore, che ressero la badia fino alla soppressione della Congregazione nel 1806. A partire dal 1827, con la morte dell’ultimo abate commendatario, cardinale Fabrizio Ruffo, il beneficio di Santa Sofia fu soppresso e il complesso monastico fu assegnato da Papa Leone XII ai Gesuiti. Dal 1834 la struttura fu gestita
dai Fratelli delle Scuole Cristiane, che svolsero la loro attività educativa fino al 1928, quando il monastero accolse il Museo del Sannio e la chiesa fu elevata a Rettoria.
Nel corso dei secoli la chiesa ha subito importanti interventi di restauro e varie manomissioni. Per opera dell’abate Gregorio, abate tra 998 e 1022, affianco al lato sinistro della facciata fu eretto un campanile. Nel XII secolo venne aggiunto in corrispondenza della facciata un corpo di fabbrica quadrangolare, poggiato su quattro colonne. Nella lunetta centrale, al di sopra del nuovo portale così realizzato, venne inserito un bassorilievo raffigurante Cristo in trono, la Vergine a destra e San Mercurio martire a destra con a fianco un monaco inginocchiato, forse l’abate Giovanni IV, promotore del restauro e della ricostruzione del chiostro arechiano, che era stato distrutto dal terremoto dell’anno 968. All’interno si sistemò una “schola cantorum” nell’esagono centrale. Il terremoto del 5 giugno 1688 causò numerosi danni alla struttura che risultò fortemente lesionata, in particolare crollò la cupola centrale esagonale a spicchi, sostituita subito dopo da una cupola impostata su alto tiburio, mentre fu realizzata una grande cappella rettangolare in sostituzione dell’abside centrale. Con la ricostruzione in forme barocche tra il 1696 e il 1701 ad opera dell’architetto Carlo Buratti (e gli interventi successivi al terremoto del 14 marzo 1702), voluta dal cardinale Orsini, si apportarono numerosi interventi: trasformazione della pianta da stellare a circolare, obliterazione delle absidi laterali, rastremazione degli otto pilastri, realizzazione della nuova facciata, tuttora parzialmente esistente, aggiunta di due cappelle laterali e della sacrestia, copertura con intonaco e realizzazione di stucchi, posizionamento di nuovi altari e delle statue di San Giovenale e dell’Immacolata, creazioni del Cerasuolo (1790), ora al Santissimo Salvatore. Nello stesso periodo venne costruito anche l’attuale campanile. Tra il 1955 e il 1960 fu realizzato un drastico e discusso restauro che riportò alla primitiva struttura muraria longobarda e recuperò gli antichi affreschi.
La pianta della chiesa è molto particolare, in quanto è presente un nucleo centrale costituito da un esagono ai cui vertici sono collocate sei grandi colonne antiche, collegate tra loro con archi sui quali si sviluppa la cupola. Intorno a questo esagono centrale troviamo un secondo anello decagonale con due colonne subito dopo l’ingresso e otto pilastri in blocchi di pietra calcarea bianca intercalati da strati di mattoni. Ogni pilastro è orientato parallelamente alle retrostanti pareti perimetrali, il cui andamento è circolare nella zona presbiteriale che ospita anche le tre absidi, poi a forma stellare per ritornare di nuovo circolare in corrispondenza del portale d’ingresso, così da creare suggestivi giochi di prospettive, ombre e luci. Gli otto pilastri a sezione quadrata e le due colonne decorate da capitelli antichi del decagono sono sormontati da pulvini altomedievali, mentre le colonne dell’esagono presentano solo capitelli e basi costituite da antichi capitelli rovesciati. Purtroppo dell’antico ciclo di affreschi restano sono i frammenti visibili nelle absidi: nell’abside sinistra si ammirano l’Annuncio a Zaccaria e il Silenzio di Zaccaria, mentre nell’abside destra sono riconoscibili l’Annunciazione a Maria, con l’angelo che si volge benedicente verso il trono della Vergine, e la Visitazione, con l’abbraccio fra Maria ed Elisabetta. Tali affreschi furono probabilmente voluti dallo stesso Arechi II e realizzati da un anonimo artista siro-palestinese entro il 768, anno della tumulazione delle reliquie di San Mercurio.
Il primo nucleo del Museo del Sannio fu un museo archeologico fondato nel 1806 da Talleyrand, al tempo principe di Benevento, all’interno dell’ex casa gesuitica, materiale che fu conservato dalla Compagnia del
Gesù quando riaprì il proprio collegio. Il museo vero e proprio nacque nel 1873, raccogliendo i materiali conservati nel Collegio gesuita, quelli radunati dal comune a partire dal 1865, diverse opere afferenti a collezioni private e altri reperti provenienti dall’intera provincia. Nel 1893 un primo raggruppamento di oggetti di varia natura fu allestito all’interno della Rocca dei Rettori di Benevento, a cura di Almerico Meomartini. Nel 1929, a cura di Alfredo Zazo, le collezioni furono trasferite nel complesso di Santa Sofia, che divenne sede di Museo, Archivio storico e Biblioteca, mentre la sezione storica fu allestita all’interno della Rocca. A seguito della seconda guerra mondiale, l’incremento del materiale necessitò di vari interventi, motivo per cui entro il 1964 Mario Rotili riorganizzò il museo secondo criteri moderni, soprannominandolo “museo grande”. Con Elio Galasso, direttore del museo a partire dal 1973, l’istituzione venne ampliata e divenne un centro di ricerche in ambito storico, artistico e culturale di primo piano. In tale periodo il museo iniziò ad aprirsi all’arte contemporanea e a ospitare rassegne musicali, mostre e convegni. Nel 1999 si sono conclusi i lavori di restauro del chiostro e del museo su progetto degli architetti Ezio De Felice, Eirene Sbriziolo e Roberto Fedele. L’attuale museo documenta in maniera puntuale la storia del Sannio dalla preistoria all’età moderna, tramite la visione delle collezioni disposte sui due piani dell’ex abbazia di Santa Sofia e di Palazzo Casiello e con il supporto integrativo di una fornita biblioteca. Del museo fa parte anche la collezione relativa al culto della dea Iside, collocata presso il Museo Arcos, un tempo ubicata all’interno dell’edificio.
Il Chiostro è a pianta quadrangolare, costituito da quindici quadrifore e una trifora, che, nell’angolo a sud, ripiegando con la quadrifora dell’altro lato per dare spazio alla chiesa, forma un angolo sporgente di bell’effetto, mentre al centro un capitello composito molto incavato funge da pozzo. Gli archi delle aperture sono a sesto ribassato e sostengono la terrazza ubicata al piano superiore, amena passeggiata su cui si aprono le stanze dell’ex monastero. All’interno del bellissimo Chiostro, ricostruito nel XII secolo ad opera dell’abate Giovanni IV, è presente uno sterminato repertorio scultoreo: decori vegetali, allegorie, bestiari, mostri, scene bucoliche, rappresentazioni dei mestieri, croci, simboli cristologici ed episodi biblici ed evangelici ornano tutti i pulvini che sormontano le quarantasette colonne di marmo, alabastro e granito. La realizzazione di questi rilievi si deve a diverse maestranze di varia cultura, tra cui il Maestro dei Draghi, il Maestro della Cavalcata di Elefanti e il Maestri dei Mesi, quest’ultimo artefice del magnifico “Ciclo dei Mesi”. Degna di attenzione è anche la colonna ofitica, ovvero annodata, molto comune nell’arte romanica. Il museo ospita una splendida collezione lapidea che trova posto lungo le pareti del chiostro, un insieme di reperti ordinati cronologicamente dal I secolo a.C. al VI d.C., comprendente cippi, lapidi funerarie, sarcofagi, titoli onorari e votivi. Degni di menzione sono il cippo in pietra calcarea del II secolo d.C. di Sextus Hellenius Rufinus, l’epigrafe di M. Nasellius Sabinus, pertinente la suddivisione amministrativa del territorio di Benevento, il sarcofago M. Iunius Erullius Bittianus e il Thesaurus, varrebbe a dire l’ara cilindrica utilizzata per raccogliere le monete degli offerenti da devolvere alla dea Vesta.
La prima sala raccoglie reperti preistorici afferenti a varie collezioni, tra cui la raccolta dell’antropologo Abele De Blasio. I materiali esposti testimoniano il popolamento del territorio a partire dal Paleolitico inferiore per poi illustrare le successive popolazioni neolitiche. I corredi tombali ospitati nella sala provengono dalle necropoli della città, da Caudium e da altri centri della Valle Caudina, Fortorina e Telesina. Sono visibili
numerosi reperti di epoca protostorica e sannitica in cui si inseriscono il corredo maschile rinvenuto a San Marco dei Cavoti (età protostorica) ed esemplari di cinturone in bronzo (V – IV secolo a.C.) del periodo sannita. Statuine fittili, ex-voto, pendagli ed anfore arricchiscono l’esposizione.
Nella seconda sala, Sala di Caudium, sono conservati reperti del periodo sannitico, con l’esposizione di un cospicuo numero di crateri a figure rosse, rinvenuti nella necropoli di Caudium (Montesarchio), il più importante centro dei sanniti della tribù caudina. I vasi esposti raffigurano scene di carattere funerario, scene mitologiche e ispirate agli ambienti dei culti dionisiaci. I luoghi di produzione sono da rintracciare a Paestum ed altre officine della Campania.
La sezione della scultura greca e romana raccoglie statue, nella maggior parte dei casi frammentarie, che testimoniano il prezioso arredo scultoreo degli edifici pubblici di età imperiale della Beneventum romana, testimoniata anche dalla possente testa di Hera e dalle tre copie romane in basalto di famosi originali greci. Proseguendo nella sala di Traiano si possono ammirare le due statue acefale dell’imperatore Traiano in armatura e di sua moglie Plotina e una serie di fregi staccatisi dall’Arco di Traiano, monumento eretto in occasione dell’apertura della Via Traiana. Di pregevole fattura è anche il fregio con testa di Littore, un tempo utilizzato come materiale di reimpiego nell’ex Palazzo Municipale (Palazzo Paolo V).
L’ambiente successivo espone materiali scultorei provenienti da necropoli romane di epoca tardorepubblicana e della prima età imperiale (tra I secolo a.C e I d.C.). I monumenti funerari attestanti l’ascesa di nuovi ceti sociali ritraggono la figura del defunto togato accompagnato da attributi che ne attestano le attività lavorative. Il mondo gladiatorio è rappresentato da una selezione di rilievi e da una piccola iscrizione che ricorda la presenza di una scuola gladiatoria in città. Meritevole di attenzione è il rilievo con gladiatore posto al centro dell’esposizione che, insieme ad altri rilievi con scene gladiatorie, mette in risalto il valore sociale raggiunto da questi spettacoli.
La sezione longobarda del Museo del Sannio introduce il visitatore alle testimonianze di Benevento capitale della Langobardia Minor. In queste sale sono esposte epigrafi funerarie tardoantiche, arricchite talvolta da elementi paleocristiani, ed epigrafi longobarde, quest’ultime legate alle famiglie aristocratiche e recanti decori di grande raffinatezza. Le vetrine conservato corredi funerari maschili e femminili che attestano in modo eloquente la condizione sociale, economica e politica del defunto. Le monete, i gioielli, le armi e il vasellame sono manufatti databili tra la seconda metà del VI secolo e gli inizi dell’VIII secolo d. C. e provengono dalle necropoli di “Pezzapiana” (nord di Benevento) e di “Epitaffio” (lungo la via Appia). Nella penultima sala è stato ricostruito un mausoleo antico al centro del quale troneggia un sarcofago in marmo databile presumibilmente tra VI e VII secolo d.C. Nella sala successiva si ammirano le sculture altomedievali pertinenti gli edifici di culto: si notino in particolare alcuni capitelli figurati tipici della scultura longobarda, sia di forma tradizionale che del tipo “a stampella” cioè a forma trapeziodale, mentre motivi geometrici e figure fitomorfe intrecciate si possono osservare su alcune lastre di recinzioni presbiteriali. Nella Sala del medagliere, assieme alle monete emesse dalla zecca principessa, si possono ammirare monete greche, bizantine, pontificie e napoletane.
Leoni funerari romani di età tardo repubblicana, unitamente a lastre, stemmi, capitelli, pulvini e frammenti architettonici sono esposti sulla Loggia dei Leoni e negli ambienti annessi. La prima sala della Pinacoteca, denominata Sala del Trecento, espone le sculture appartenenti ai pulpiti della Cattedrale di Benevento ed ascrivibili a Nicola da Monteforte (prima metà del XIV secolo), artista irpino il cui stile si rifà ad Arnolfo di Cambio e Pietro da Oderisio. Nella sala d’ingresso è posizionato il grande affresco staccato e appartenente alla parete esterna di Santa Sofia e raffigurante la Madonna della Consolazione, attribuito ad artista ignoto e datato al 1345 circa.
Proseguendo il percorso si incontrano opere rinascimentali del XV e XVI secolo provenienti da alcune importanti chiese cittadine, in primis Santa Sofia e Sant’Agostino. Le tele esposte sono opere dell’artista beneventano Donato Piperno, pittore che fu a diretto contatto con l’arte di Raffaello e seppe reinterpretarla in maniera matura ed elegante, mediando attraverso la lezione del fiorentino Girolamo Macchietti. Degni di attenzione sono la Deposizione e San Mercurio che trafigge Giuliano l’Apostata.
La sezione dedicata al XVII e XVIII secolo si apre con un elegante stipo monetiere di manifattura napoletana, in ebano, tartaruga, bronzo dorato, vetro dipinto, velluto e specchi, di proprietà di Franco e Paola Alberti, che illustra episodi tratti dall’Antico Testamento e incentrati attorno a Noè, Giuseppe, Abramo, Adamo ed Eva, Mosè, Giacobbe e David, ed è corredato da angioletti, allegorie della Carità e della Purezza, scene di genere, Muse, teste leonine e nastri. Il classicismo seicentesco trova riscontro in Carlo Maratta e nella sua Sacra Famiglia, mentre Sebastiano Conca con il suo linguaggio, ben esemplificato nella tela Crocifissione, opera una sintesi tra reminiscenze barocche e nuove istanze classiciste. Sono presenti anche diversi dipinti realizzati da Luca Giordano e Francesco Solimena. Da segnalare è un mezzobusto dell’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, passato alla storia con il nome di Benedetto XIII e considerato “secondo fondatore” della città per l’opera di ricostruzione promossa dopo i terremoti del 1688 e del 1702. Degni di attenzione sono anche vari dipinti di artisti operanti a lungo nel Beneventano: Paolo de Matteis con la sua Madonna della pace e Giuseppe Castellano con le sue Madonna del Rosario e l’Assunzione della Vergine. Di particolare interesse sono anche la Fuga in Egitto di Lorenzo De Caro e Ruderi di tempio con figure di Gennaro Greco, capricci architettonici con marine, paesaggi e rovine.
L’Ottocento è rappresentato dalla pittura di paesaggio di Jacob Philipp Hackert, di cui si ammira il Paesaggio con capre, e di Filippo Palizzi, di cui splendido è Il cespuglio. Il verismo si esplica magnificamente in opere come l’Estrema unzione di Nicola Silvestri o Le piccole balie di Giovanni Ponticelli, pittore attivo a Napoli tra 1855 e 1882. L’elegante scultura Pane e lavoro del beneventano Emanuele Caggiano troneggia al centro della sala e con la sua muliebre eleganza raggiunge livelli di inusitata bellezza e offre una sublime sintesi tra naturalismo e sentimento. Fanno da completamento a questa parte del museo le opere dell’acquerellista Achille Vianelli, campione della Scuola di Posillipo.
Palazzo Casiello, un tempo dimora dell’abate di Santa Sofia, espone opere del XX secolo. Le sale si aprono con i quadri del sannita Nicola Ciletti che mette in scena il dramma dei contadini e degli ultimi in capolavori come Gli umili del 1925 o Pane e terra del 1945. Accanto al Ciletti opera anche la moglie, Frida Laureti Ciletti,
con La madre sannita. Antico costume di San Giorgio la Molara. Anche la romena Virginia Tomescu Scrocco, sannita d’adozione, predilige temi legati al paesaggio e alle comunità contadine sannite, come in Verso nuove terre del 1940. Non mancano in questa straordinaria raccolta opere di artisti del calibro di Renato Guttuso, Carlo Levi, Corrado Cagli, Nino Maccari, Antonio Del Donno, Francesco Messina, Pericle Fazzini ed Emilio Greco. Concludono questa splendida carrellata le opere del noto designer potentino Riccardo Dalisi, autore della meravigliosa installazione Giardino del Mago, evocante le leggende relative alle streghe di Benevento.
Un’altra sezione ospita sarcofagi risalenti al II e III sec. d.C. La bellezza e ricchezza delle decorazioni scolpite sui tanti frammenti e sui due sarcofagi pervenuti quasi intatti, sottolineano l’elevato rango dei destinatari delle sepolture, identificative dello status quo dei committenti. Una lastra di sarcofago con clipeo centrale ed eroti era molto probabilmente destinata a un attore tragico, come sottolineano le maschere ubicate in basso. Tutti i rilievi sono relativi all’area beneventana e seguono due principali filoni tematici: il primo è prettamente mitologico e comprende sarcofagi che presentano scene come quelle di Fetonte e di Achille e Pentesilea, mentre il secondo propone sarcofagi raffiguranti scene agricole in cui si svolge la caccia rituale al cinghiale, pratica riservata a uomini d’alto rango, che prende ispirazione il mito di Diomede e del cinghiale Caledonio.
La sezione “Imago et vultus” ospita ritratti maschili e femminili provenienti dal territorio beneventano. Tali ritratti dovevano far parte di complessi ben più strutturati e in alcuni casi sono da identificarsi come ritratti di personaggi storici e da collocarsi in un arco temporale che va dal II sec. a.C. al II sec. d.C. Gli esemplari di I sec. a.C. manifestano l’evidente fusione stilistica tra naturalismo della scultura italica e realismo di quella romana. La ritrattistica nasce in contesti celebrativi, ma assume forme più domestiche e private, dunque più naturalistiche, in contesto provinciale e sembra potersi ascrivere a questo filone una splendida testa muliebre (inv. 2023). Si rifà di contro alla ritrattistica ufficiale di tipo imperiale una testa più raffinata (inv. 9442). In alto, sulla parete di fondo della sala, campeggiano sei busti in tufo, riferibili al I sec. d.C, di produzione italica-beneventana.
Il Museo del Sannio accoglie al piano terra di Palazzo Casiello un Infopoint e bookshop che nasce come naturale prosecuzione del percorso museale, fungendo al contempo da spazio di approfondimento letterario, luogo dedito al merchandising di settore e sezione romana dedicata ai sarcofagi e ai ritratti. Degno di nota è poi il Gabinetto dei disegni e delle stampe, ospitante disegni e stampe che spaziano dal XVI al XIX secolo, tra cui degni di nota sono una copia della Leda di Leonardo da Vinci e una veduta dell’Arco di Traiano realizzata dal grande incisore Giovan Battista Piranesi.
Una menzione d’onore merita infine la Sezione egizia del museo, dal 2013 esposta all’interno dei locali di ARCOS, all’interno di una mostra permanente dal titolo «Iside la meravigliosa e la scandalosa. Viaggio nel mito tra reale e virtuale». La sezione in questione raccoglie frammenti rinvenuti nel 1903 da Almerico Meomartini durante il restauro della caserma dei carabinieri ubicata accanto al convento agostiniano nei pressi dell’Arco di Traiano. Qui, secondo Memorartini, si trovava il Tempio di Iside, da altri collocato invece tra il Duomo e Piazza Cardinal Pacca. Domiziano lo aveva innalzato tra 88 e 89 d.C. per venerare la dea, ma anche per celebrare sé stesso. I frammenti sono in tutto una cinquantina e comprendono diverse sculture
rappresentanti l’imperatore Domiziano in vesti faraoniche, le divinità Anubi, Thot, Horus, con la testa di falco, e Apis, con la sembianza di toro, sacerdotesse di Iside, sacerdoti di Osiride, varie lastre incise, leoni, sfingi, un obelisco e la stessa Iside. Tra i pezzi di maggiore rilevanza vanno ricordati la Cesta mistica con i simboli del serpente e del crescente lunare e i resti dell’Iside pelagia, divinità dei mari. Si ricollegano a questa splendida collezione l’obelisco di Piazza Papiniano e il Toro Apis collocato all’incrocio tra via Posillipo e viale San Lorenzo.
Basilica, Campanile e Piazza di Santa Sofia
Perimetro esterno della Basilica e Lapidario
Reperti preistorici, protostorici e sanniti
Sala di Traiano e pittura vascolare
Sala dei Gladiatori
Sezione Longobardi e marmi medievali
Dal XIV al XVIII secolo
XIX secolo
Loggia dei Leoni
Novecento e Arte contemporanea
Chiostro
Tempio di Iside
Affreschi di Santa Sofia (da santasofiabenevento.it)
SITOGRAFIA
it.wikipedia.org; vedere voci: Museo del Sannio, Complesso monumentale di Santa Sofia, Chiesa di Santa Sofia, Tempio di Iside (Benevento)
Santasofiabenevento.it
www.museodelsannio.it