La “Pietà” di Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa in San Francesco a Potenza
di Marco Tedesco, storico dell’arte RAM Rinascita Artistica del Mezzogiorno
In occasione della festa dell’Immacolata concezione, abbiamo già assaporato l’arte di Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa, soprannome derivato dall’antico nome dell’odierna Satriano Di Lucania (vedi Marco Tedesco, L’ “Annunciazione” di Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa nella chiesa di San Michele a Potenza”, articolo del 29/12/2020 apparso su www.rinart.it). Torniamo ad occuparci di questo pittore in occasione del Venerdi Santo, e lo facciamo presentando uno dei suoi più autentici e importanti capolavori: la Pietà della chiesa di San Francesco a Potenza in Basilicata, firmata dall’artista e datata al 1608, anno in cui gli storici inquadrano il rientro in terra lucana di Giovanni De Gregorio a seguito dell’apprendistato al cospetto di Fabrizio Santafede a Napoli, avvenuto a partire dal 1595, come testimoniato da un documento dell’epoca raccolto da Silvano Saccone nel testo Petrafisianvs pingebat pubblicato a Napoli nel 1993 da Fausto Fiorentino editore, in cui oltre alla notizia della data di nascita del Pietrafesa ossia 1579, si menziona un accordo tra Fabrizio Santafede e Gregorio de Gregorio, padre dell’artista, che prevedeva un apprendistato di Giovanni De Gregorio presso il napoletano Fabrizio Santafede della durata di anni sei.
Si tratta di un soggetto iconografico molto rappresentato nella storia dell’arte , il quale altro non è che la versione originale del tema raffigurativo del “Compianto sul Cristo morto”, in cui oltre alla Vergine che sorregge il Cristo appena deposto dalla croce tra le braccia sono presenti anche altre figure tra cui gli apostoli e la Maddalena. Giovanni De Gregorio sceglie di attenersi alla versione originale di questo tema, ossia la Pietà in cui i protagonisti sono solo due, ovvero la Vergine Maria e il Cristo Morto adagiato tra le sue braccia, uniche due figure sulle quali l’artista sceglie di concentrare l’attenzione dello spettatore a differenza di quanto avviene in altre opere riportanti la stessa tematica, come ad esempio la Pietà della cappella del tesoro della Certosa di San Martino di Napoli eseguita da Jusepe de Ribera nel 1637 in cui, oltre alla figura della Vergine e alla figura del Cristo Morto, compaiono anche la Maddalena, San Giovanni Evangelista e Giuseppe d’Arimatea con in mano un martello.
Concentrando l’attenzione sulla Pietà di San Francesco a Potenza di Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa qui presa in esame, sembrerebbe che i protagonisti assoluti del dipinto sono la sofferenza e il dolore. Il De Gregorio sceglie di concentrale l’attenzione sulle sole due figure della Vergine e del Cristo allo scopo di coinvolgere lo spettatore rendendolo partecipe al dolore della Vergine . Un dolore che Lei esprime attraverso l’espressione del volto e che al tempo stesso mostra una sofferenza esterna e intima che la Vergine sta provando, evidenziando l’intensa umanità della Madonna che prima di essere la Santa Madre di Cristo è una donna, una madre come tutte le madri del mondo le quali sono costrette dalle avversità della vita ad assistere ad un evento contro natura come la morte dei loro figli. Il corpo di Cristo è adagiato tra le braccia della Madre, provato dalle sofferenze inferte dai chiodi della crocifissione e ancor prima dai colpi dei flagelli. Colpisce in tale composizione il richiamo all’attenzione della realtà che si nota nella muscolatura del Cristo e nella figura della Vergine, le quali vengono rese solenni grazie alla luce che invade la scena dall’alto e, attraverso giochi di luce ed ombre modella le figure rendendole realistiche e solenni allo stesso tempo, evidenziando la drammaticità dell’evento raccontato dall’artista, elemento che riscontriamo anche nell’arte pittorica di un genio rivoluzionario, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, la cui pittura si diffuse in gran parte degli ambienti artistici del sud Italia a partire dal 1606 e per tutto il XVII secolo, grazie anche all’opera dei suoi seguaci, in cui rientrò anche lo stesso Jusepe de Ribera.
Leggendo l’opera dal punto di vista psicologico, Giovanni De Gregorio si rivela attraverso la Pietà della chiesa potentina di San Francesco un attento lettore dell’animo umano, oltre che un grande artista, capace di leggere e di studiare i sentimenti dell’essere umano pubblicando in pittura i risultati di tali studi. Ci dice che i Santi prima di essere tali erano soprattutto uomini, concetto tipico della filosofia alla base dell’opera caravaggesca e in quanto uomini anche essi hanno provato dei sentimenti, dolori, sofferenze come tutti gli esseri umani.
Ancora una volta, la storia dell’arte lucana in particolar modo e in generale la storia dell’arte dell’Italia meridionale ci regala una pagina affascinante della storia dell’arte italiana, ricordandoci che, quando meno ce lo aspettiamo, l’arte ci sorprende, rivelandosi un mezzo di diffusione della bellezza e allo stesso tempo un modo per indagare sulla vita dell’uomo e sul suo mondo interiore.