“L’arte di Jusepe de Ribera nella Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro” di Marco Tedesco, storico dell’arte RAM RINASCITA ARTISTICA DEL MEZZOGIORNO
Il nome di Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto (Xàtiva, 1591 – Napoli, 1652), ricopre una fondamentale importanza nella pittura napoletana del Seicento. Chiese e musei napoletani conservano nei loro spazi espositivi suoi pregevoli dipinti, come ad esempio la Pietà della Certosa e Museo nazionale di San Martino; la serie di tele della quadreria dei Girolamini raffiguranti San Pietro, San Paolo, Sant’Andrea e la Flagellazione di Cristo; il Sileno Ebbro del Museo di Capodimonte; la Testa del Battista del Museo Civico Gaetano Filangieri.
Tele appartenenti quasi tutte in parte agli anni giovanili e in parte alla produzione tarda di Jusepe de Ribera, anni in cui il maestro mostrava nei suoi lavori una esasperazione della rivoluzione pittorica apportata da Caravaggio nella storia dell’arte europea.
Nella sua maturità artistica Ribera presenta un linguaggio pittorico quasi del tutto diverso. Pur mantenendo un legame con i principi della pittura di Caravaggio, il linguaggio artistico di questa fase della produzione pittorica di Jusepe de Ribera, fase che riscontriamo a partire dalla fine degli anni Trenta del 1600, ci presenta un’apertura verso il linguaggio coloristico emiliano, tipico della pittura dei Carracci e di Domenico Zampieri, detto il Domenichino, allievo di Ludovico Carracci, il quale fu chiamato dalla deputazione della Reale cappella del Tesoro di San Gennaro, ove si occupò della decorazione affrescata dei sottarchi degli altari e dei pennacchi tra il 1633 e il 1641, anno della morte del Domenichino.
Un esempio di questo incontro tra Ribera e la pittura emiliana lo si nota per l’appunto nella Reale cappella del Tesoro di San Gennaro, voluta dai napoletani nel 1608 e terminata nel 1646, per voto al Santo Patrono Gennaro, come ringraziamento dello scampato pericolo a seguito di alcuni eventi turbolenti che si succedettero in città come i terremoti causati dal Vesuvio e il tentativo di riconquista del regno di Napoli da parte dei pretendenti angioini, il cui esercito con a capo il generale Lautrec, mise sotto assedio la capitale partenopea.
Per la deputazione della Reale cappella del Tesoro di San Gennaro, ossia una commissione laica di dodici membri voluta dagli eletti della capitale partenopea che aveva il compito di curare la decorazione pittorica della cappella, Ribera realizzò il dipinto ad olio su rame San Gennaro esce illeso dalla fornace, opera commissionatagli nel 1643, ma portata a termine solo nel 1646.
Il dipinto è considerato l’opera più bella in assoluto di tutta la produzione riberiana e segna il passaggio da una “pittura tenebrosa” basata sui principi dell’arte di Caravaggio che Ribera non abbandonerà del tutto come vedremo, ad una “pittura chiara” per dirla con parole di Vittorio Sgarbi (Vittorio Sgarbi, Dall’ombra alla luce, da Caravaggio a Tiepolo, il Tesoro d’Italia IV, 2016, la nave di Teseo, p. 254).
Una pittura i cui toni possono essere considerati come il simbolo della grandezza di Dio in questo caso mostrata al popolo con il miracolo dell’uscita di San Gennaro dalla fornace illeso.
Il santo è legato e cammina a piedi nudi tra la folla che urla al miracolo e si lancia in movimenti caratterizzati da un dinamismo tipico della pittura barocca.
In alto a destra dell’osservatore, un gruppo di putti al quale il santo rivolge lo sguardo rafforzano la santità e la divinità del miracolo appena avvenuto.
La tonalità chiara del dipinto, combacia e dialoga perfettamente con gli affreschi del Domenichino che ornano la cappella e rappresenta il culmine del ciclo decorativo della stessa, la quale si mostra agli occhi dell’osservatore come una sintesi dell’arte italiana del primo Seicento.
Questa sintesi la si evidenzia bene proprio nel dipinto qui preso in esame, dove Ribera mostra di saper coniugare insieme i grandi linguaggi artistici dell’epoca: egli coglie infatti l’energia e il verismo nella raffigurazione dei personaggi tipici dell’arte di Caravaggio unendoli al linguaggio della pittura emiliana di stampo carraccesco, importato a Napoli dal Domenichino e fatto proprio dal Ribera, riproponendo in una unica tela l’incontro gia avvenuto nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo tra i due grandi Maestri della pittura italiana del primo Seicento, Michelangelo Merisi da Caravaggio e Annibale Carracci, causando la nascita di uno straordinario stile pittorico che rivoluzionerà ancora di più la pittura napoletana.