“PALAZZO DEL MONTE DI PIETA’ BENE COMUNE” di Mario Colangelo – Delegazione RAM Benevento
“PALAZZO DEL MONTE DI PIETA’ BENE COMUNE”
Nel Centro Storico di Napoli (Patrimonio mondiale Unesco dal 1995), lungo la più suggestiva strada delle città storiche del Mondo (Spaccanapoli, il principale asse urbano che “divide il nord e il sud del centro storico, cuore trafficato e via delle mercanzie, in cui si fondono anima antica ed estro moderno”), a breve distanza da Monumenti di valore universale (Complesso Monastico di Santa Chiara, Cappella San Severo, San Domenico Maggiore ecc.), in Via di San Biagio dei Librai 114, sorge il Palazzo del Monte di Pietà.
Venne fondato nel 1539 dopo un decreto di Carlo V che scacciava gli ebrei che praticavano attività di strozzinaggio a danno di chi aveva forti difficoltà economiche.
Più esattamente tale istituzione venne promossa da tre illuminati nobili napoletani; Aurelio Paparo, Gian Domenico di Lega e Leonardo di Palma Castiglione, con la missione allora impellente di combattere la piaga dell’usura tramite prestiti elargiti senza scopo di lucro.
Passaggio fondamentale nella storia di questa istituzione risale al 1579 quando Bernardino Rota, tramite testamento, lascia una generosa somma di cinquecento ducati al Monte, che quindi ha modo di istituire una confraternita.
Questa nel 1592 trova una prima sede nel Palazzo Carafa d’Andria, ma appena cinque anni dopo si trasferisce in quanto il palazzo risulta insufficiente di spazi e si insedia nel Palazzo di Girolamo
Carafa, che tra il 1597 e il 1603 subisce importanti lavori a opera di uno dei più importanti architetti post-conciliaristi di Napoli (Giovan Battista Cavagna).
Assieme ai collaboratori Giovan Giacomo di Conforto e Giovanni Cola di Franco, Cavagna realizzò
uno tra i più riusciti palazzi dell’epoca impostato su un’equilibrata scansione architettonica, che trova i suoi maggiori fulcri nell’elegante portale con elementi in bugne e triglifi e nella cappella che si apre sul fondo del cortile.
La facciata della Cappella si ispira a uno dei più grandi raggiungimenti dell’arte del Vignola, la Chiesa di Sant’Andrea sulla Flaminia, modulo architettonico liberamente trattato dal Cavagna.
Nella facciata si ammirano diversi importanti gruppi scultorei, anche questi rappresentanza della migliore scultura post-tridentina e pre-barocca partenopea: la Carità e la Sicurezza di Pietro Bernini, la Pietà di Michelangelo Naccherino e gli Angeli di Tommaso Montani.
Ben poco è di contro rimasto degli affreschi murali che dovevano decorare la parte superiore della
facciata.
L’interno della cappella è un capolavoro di indescrivibile eleganza, dove i raffinati affreschi della
volta, realizzati da Belisario Corenzio (il più grande frescante partenopeo a cavallo tra XVI e XVII
secolo), le pale d’altare di Ippolito Borghese, Girolamo Imparato e Fabrizio Santafede (sua è la
splendida Deposizione dell’altare maggiore) e i ricercati stucchi dorati invitano a esplorare i vari
ambienti ancora integri e pregni di splendore.
Le sale attigue contengono dei veri gioielli d’arte pittorica, scultorea e applicata: nell’Antisagrestia si ammira ad esempio un gioiello marmoreo firmato Cosimo Fanzago, ovvero il Sepolcro del cardinale Ottavio Acquaviva Coppola, mentre nella Sagrestia si rimane colpiti dalle decorazioni settecentesche, che variano dagli armadi lignei alle figure allegoriche dipinte su fondo oro, fino all’affresco della volta rappresentante la Carità, opera del finissimo Giuseppe Bonito; meravigliosa è anche la Sala delle Cantoniere che si segnala per il ricercato pavimento maiolicato tra i più eleganti mai realizzati a Napoli durante il XVIII secolo, i magniloquenti affreschi in trompe-l’oeil, rappresentanti le Allegorie delle Quattro Stagioni, di Francesco Russo, ove echeggiano i ritratti monocromi di Carlo III di Borbone e Maria Amalia di Sassonia, a cui fanno da ulteriore arricchimento le quattro superbe angoliere lignee, esempio riuscitissimo di arte lignea napoletana, e la struggente scultura della Pietà, in legno policromo, opera di valente scultore castigliano.
Il Monte di Pietà ospita anche un interessante Museo inaugurato nel 1999 e suddiviso in tre sale
riccamente decorate, un tempo destinate alle aste degli oggetti lasciati in pegno:
– Nella prima sala, il cui soffitto è ornato dall’Allegoria dell’Agricoltura attribuita a Belisario
Corenzio, si possono ammirare splendidi ornamenti e oggetti liturgici; in primis diverse fiasche
in lamine di rame dorato, carta e corallini di vetro della fine del Settecento, e diversi dipinti di
pregio, tra cui il Salvatore di Francesco Di Maria, l’Addolorata della bottega di Paolo de Matteis
e il San Gennaro di Nicola Menzele;
– La seconda sala, il cui soffitto è invece impreziosito dall’Allegoria della Fecondità di Belisario
Corenzio e Battistello Caracciolo, è un prezioso scrigno di opere di rara bellezza, come un parato
d’altare in legno intagliato e dorato di manifattura napoletana del XVIII secolo, splendidi argenti,
tra cui spiccano il calice punzonato con la scritta Milesimo del 1697, l’ostensorio con fusto figurato
recante sulla base lo stemma del Monte di Pietà, la lampada pensile con le raffigurazioni di Fede,
Giustizia, Fortezza e Temperanza, opera di argentiere napoletano della metà del XIX secolo,
eleganti cartegloria dalle raffinate cornici in legno intagliato e argentato del XVIII secolo e vari
dipinti, quali la Morte di San Giuseppe e il Cristo e l’adultera di Bernardo Cavallino e il Sansone
e Dalila di Domenico Fiasella;
– La terza sala, che presenta il soffitto affrescato con l’Allegoria della Sapienza, mette in
esposizione paramenti liturgici ricamati in argento legato a spina e oro filato, in particolare paliotti d’altare, e due dipinti, un San Girolamo del XVIII secolo e un San Sebastiano di scuola
napoletana del XVII secolo.
Tuttavia, prima ancora dei suoi tesori, questa straordinaria esperienza artistica, architettonica esociale, spicca proprio per essere radicata nella storia quotidiana della città di Napoli, per il suo non ambire a raccontare il potere, ma a narrare le vicissitudini quotidiane dei poveri e dei diseredati, delle persone che hanno avuto bisogno d’aiuto, caratterizzandosi come fondamentale istituzione sociale nella storia di Napoli e divenendo poi radice profonda del Banco di Napoli.
Quest’opera e ciò che ha rappresentato per Napoli per lunghi secoli, compreso la Cappella del Monte di Pietà, scrigno di opere d’arte di inestimabile valore realizzate dai Pietro Bernini, Battistello Caracciolo, Fabrizio Santafede, Cosimo Fanzago e tanti altri artisti di primario valore, e di meravigliosi mobili intagliati del ‘700 ed altri arredi e paramenti coevi, di proprietà del gruppo Intesa- Banco di Napoli, rischia di passare in mano privata con probabili intenti speculativi.
Intesa Sanpaolo Group Services, società partecipata da Intesa Sanpaolo, infatti ha messo in vendita tale straordinario patrimonio cittadino, suscitando molto scalpore e grande allarme nei cittadini e nelle istituzioni napoletane che hanno a cuore la tutela e la valorizzazione dei beni culturali.
Italia Nostra col presidente Guido Donatone e Sergio Attanasio, presidente dell’Associazione Palazzi Napoletani e del Premio Fanzago, scrivono al ministro Franceschini e al soprintendente Garella chiedendo un ulteriore vincolo di destinazione, per la struttura inscritta nella storia della città di Napoli
L’amministratore del Museo Cappella Sansevero, l’avvocato Nino Masucci ha dichiarato, e noi sottoscriviamo: «Lascia perplessi che Banca Intesa, dopo aver avuto una idea illuminata, quella di ricostituire le banche del territorio, pensi di vendere un pezzo della storia di Napoli. …. Visto che sopravvive il nome Banco Napoli sia pure soltanto di facciata, Intesa abbia la accortezza di conservare il collegamento storico anche col Monte di Pietà, dalla cappella straordinaria, ed è importante che vi sia una istituzione che ne conservi l’integrità: parliamo di una struttura che potrebbe assolutamente mantenersi in autogestione una volta creata una istituzione museale, proprio come Cappella Sansevero.
E comunque, non si dovrebbe fare cassa sulle radici di una città come la nostra …. Chiediamo al presidente Mattarella di intervenire e di esercitare la sua altissima autorità morale per impedire l’ennesimo oltraggio alla cultura napoletana».
Gli ha fatto eco Severino Nappi, responsabile nazionale Forza Italia Politiche per il Sud che, sull’annuncio di vendita lanciato da Banca Intesa, così si è espresso «A presidio della nostra storia, chiediamo che il Palazzo del Monte di Pietà sia acquisito nella disponibilità della Fondazione Banco Napoli e resti a disposizione dei cittadini senza finire al primo albergatore di turno».
L’ associazione RAM – Rinascita Artistica del Mezzogiorno, nata nel 2010 per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archivistico e monumentale del Mezzogiorno, ha promosso la costituzione a Napoli del Comitato Palazzo Monte di Pietà Museo della città, insieme a personaggi di spicco della cultura locale, ad associazioni ed a rappresentanti delle istituzioni locali; formalizzato il giorno 7 aprile 2017 presso il Palazzo del Consiglio Comunale di Napoli, in Via Verdi 35,
il Comitato che si pone i seguenti obiettivi:
- a) vigilare affinché il PALAZZO MONTE DI PIETA’ e l’annessa Cappella restino fruibili alla
cittadinanza ai fini culturali;
- b) promuovere il coinvolgimento degli Enti locali, delle Associazioni, dei Comitati e della cittadinanza tutta affinché il PALAZZO MONTE DI PIETA’ diventi bene pubblico;
- c) vigilare affinché non si concretizzino azioni speculative sul PALAZZO MONTE DI PIETA’ che ne possano, in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma, compromettere l’integrità storico -artisticoculturale. Da parte nostra riteniamo che le Istituzioni possano evitare lo scempio esercitando il diritto di prelazione previsto dall’art. 60 e succ. del D.Lgs. 42/2004 (codice dei Beni Culturali).
Ci sono luoghi che, più di altri, si connotano per essere stati serbatoi indelebili di storie particolarmente vicine alla gente umile, storie di popolo, comuni cittadini, poveri e derelitti e non solo e non sempre di ricchi borghesi, mercanti, nobili o regnanti. Sono luoghi che conservano intatto il loro fascino perché prima ancora che preziosi contenitori di tesori d’arte, sono stati baluardi di virtù e di valori alti ed inalienabili, come la solidarietà, l’altruismo e l’empatia, roccaforti inespugnabili dell’identità di un popolo, da preservare e valorizzare.
Mario Colangelo
Delegazione RAM Benevento