IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA STRADA, LA PERLA SACRA DEL CALORE

Il fiume Calore è depositario di tante storie affascinanti e suggestive, di numerosi luoghi dell’anima che fioriscono lungo le sue rive eternandosi nel tempo tanto da divenire quasi immortali. Non molto lontano dalle rive del glorioso corso d’acqua, lungo quella che un tempo era l’antica Via Appia, al confine tra i comuni di San Lorenzo Maggiore e Paupisi (frazione San Pietro la Difesa), in corrispondenza dell’odierna località Piana, si erge il Santuario di Santa Maria della Strada, uno dei luoghi sacri più celebri del Beneventano. Prima ancora che per l’aspetto meramente artistico, tale complesso conventuale si segnala per la peculiarità di assommare in sé storia, religione, archeologia, civiltà contadina e commercio, caratteristiche che rendono questo monumento un unicum di indissolubile importanza.Santuario-di-Santa-Maria-della-Strada2
Il sito in questione si trova non molto lontano da quello che un tempo era l’antico abitato di Limata, posizionato su una collina e sorto attorno al Castello longobardo fatto costruire dal duca Zottone I, borgo poi abbandonato a partire dal XV secolo. Di tale castello rimangono pochi resti, così come dell’abitato in questione, fatti salvi muri residui, mentre il territorio risulta ancora fortemente caratterizzato da vigneti, uliveti, frutteti e boschi che colorano di toni idilliaci l’intera zona. La chiesa per numerosi secoli e fino a una ventina di anni era una tappa indispensabile per i viandanti e un punto di riferimento imprescindibile per i pellegrini della Valle Telesina, quando la necessità dell’attraversamento del fiume, vista la scarsità di ponti, rendeva necessario utilizzare imbarcazioni. Più esattamente ad assolvere a questo compito assai importante era l’impiego delle “scafe”, barche assai modeste e di piccola portata che, sotto compenso in danaro, facevano la spola tra la riva laurentina e quella paupisana del fiume, trasportando i passeggeri e rendendo quindi fluide le comunicazioni tra le due comunità e anche, indirettamente, tra la zona del Taburno e quella del Matese. Diverse scafe erano presenti in varie altre zone del Calore, ma la scafa di San Lorenzo Maggiore è l’unica ad essere stata in attività, seppure in maniera più blanda e più che altro in occasione dei festeggiamenti dedicati alla Madonna della Strada, fino agli anni ’90 del XX secolo, motivo per cui è ancora vivo presso gli abitanti del luogo il ricordo sempiterno di questa barca sgangherata che traghettava le anime, tramite il Calore, verso la maestà della Madre di Dio.
Se la denominazione “della Strada” echeggia i tempi romani e si riconnette all’ubicazione lungo la via consolare che collegava Roma a Benevento e poi al resto del Sud, come attesterebbe un bel ponte romano presente nei pressi della chiesa, ben altre suggestioni emana lo scroscio del piccolo torrente che si infiltra oscuro, misterioso e umbratile dietro il santuario, il cosiddetto Torrente delle Janare. La janara, da Dianara, sacerdotessa di Diana, dea romana della luna, oppure dal latino ianua, ovvero porta, è una figura fantastica che trova radici profonde nella cultura contadina, così pronta a trasmutare gli elementi naturali in fate, streghe, folletti, maghi, ninfe, tutte figure ammantate di retaggi pagani. Nel caso specifico si tratta di una strega assai temuta e spaventosa, capace di terribili sortilegi e malefici, in special modo aveva l’abilità di entrare nelle case attraverso le fessure e i buchi della serratura e si presentava con un violento soffio di vento. Prediligeva, quali cavie della sua crudeltà, i bambini, che venivano paralizzati con una forte pressione sul petto che toglieva loro il respiro. Per prevenire tale evenienza le madri e le nonne del luogo utilizzavano l’abbetièllë, amuleto caratterizzato da piccoli oggetti metallici, immagini di santini ed erbe magiche da appendere al collo dei figli. Tali streghe avevano anche l’abitudine di intrufolarsi nelle stalle, rapire le giumente e cavalcarle per tutta la notte, per poi intrecciare i crini delle stesse per lasciare la loro presenza; per impedire loro di massacrare le giumente, i contadini utilizzavano un sacco di sale o una scopa che ponevano sull’uscio delle stalle, cosicché le janare perdevano tempo a contare i grani di sale o i fili della scopa fino all’arrivo dell’alba, quando era costretta a fuggire. Le janare erano solite radunarsi attorno al famigerato noce di Benevento che utilizzavano per i loro spaventosi sabba. Pronunciavano una formula ben precisa per il numero di tre volte: ‹‹Sott’àcqua e sòtta vjèntë, sòtt’a la nòcë dë Benevièntë! (Sotto l’acqua e sotto il vento, sotto il noce di Benevento)››. Subito dopo queste cospargevano il proprio corpo di unguenti magici e spiccavano in volo verso il luogo dell’adunanza.Santuario-di-Santa-Maria-della-Strada3
Se il noce di Benevento era il luogo più esclusivo ove le streghe si raccoglievano per i loro riti demoniaci, esistevano anche altri siti idonei all’uopo, tra cui il Ponte delle Janàre, ubicato tra Guardia Sanframondi, San Lupo e San Lorenzo Maggiore, costruito sull’omonimo torrente, più esattamente dove l’acqua ha scavato delle gole lungo le rocce e ha creato delle grotte, le cosiddette “Coste delle Janàre”. A facilitare tale credenza è la presenza di profondi gorghi che si aprono all’improvviso lungo il corso d’acqua ed è probabilmente a causa della pericolosità del luogo che è stata immaginata la presenza dei sabba, difatti tutte queste superstizioni dal substrato pauroso avevano il compito di allontanare i bambini dai pericoli offerti da una natura impervia e selvaggia. Si aveva paura soprattutto dei fiumi e dei pozzi artesiani, la cui pericolosità era ben nota presso gli abitanti del Beneventano, motivo per cui sorsero figure spaventose come la Manalonga, strega dalle braccia lunghe che afferrava chi passava nei pressi dei pozzi e li portava giù nell’abisso, o ancora il Marranghino, un uncino che prendeva i bambini che si avvicinavano troppo a pozzi e corsi d’acqua. Legata alla pericolosità del Torrente delle Janàre è una leggenda molto antica. Una coppia di sposi si presero cura di una bambina nata dall’unione peccaminosa tra un diavolo e una strega, bambina che da ragazza faceva la pastorella. Un giorno la pastorella si bagnò nelle acque del torrente, come era solita fare da tempo, ma non si accorse di aver attirato le mire di un vecchio nobile di Limata che voleva insediarla. La ragazza si oppose alle avance e lui, adirato per l’affronto, andò in paese a raccontare di aver visto la ragazza praticate atti peccaminosi con il diavolo. I paesani, spaventati, presero la ragazza e l’affogarono nel fiume, ma il corpo non venne ritrovato perché il vortice del fiume lo risucchiò. Da allora il fantasma della ragazza si manifestava di tanto in tanto, comparendo sopra le rocce e poi scomparendo. Un nipote del nobile di Limata, incuriosito, si nascose dietro un masso perché verificare la realtà di tale voce. D’improvviso comparve lei e lui, innamorato, cercò di toccarla, ma cadde nel fiume, venendo poi risucchiato.
Particolare è la storia del Santuario di Santa Maria della Strada, che risulta avere comunanze con altri siti religiosi italiani, tutti santuari che si caratterizzano per una comune origine leggendaria incentrata sul ritrovamento casuale di un’icona sacra, indicata in tutti i frangenti da un’apparizione miracolosa. Nel luogo in cui oggi si ammira la chiesa, una donna era intenta a lavorare la terra, quando le apparve la Madonna che le Santuario-di-Santa-Maria-della-Strada1
chiese di scavare, in quanto avrebbe trovato un dipinto che la ritrae. La donna chiamò numerosi abitanti del paese che l’aiutarono a scavare nel luogo indicato, dove alla profondità di venti palmi furono rinvenute una cappellina e l’icona della Madonna. Dal foro da cui fu estratta la sacra immagine, sgorgò miracolosamente dell’acqua, foro ancora oggi presente all’interno della Cripta interna alla chiesa, zona nella quale è presente anche la piccola cappella.
L’icona ha uno stile prettamente bizantino e molto probabilmente è giunta a San Lorenzo Maggiore durante il periodo dell’iconoclastia, che portò alla distruzione di molte opere similari. I volti della Madonna e del Bambino Gesù sono attorniati da iniziali greche, elementi che attestano in modo più chiaro l’areale originale in cui fu realizzata l’icona. La Vergine, raffigurata a mezzo busto, si staglia su uno sfondo dorato, ha in braccio Gesù che benedice con la mano destra e che regge il globo con la mano sinistra. Entrambi recano due corone dorate aggiunte il 2 giugno 1906. La Madonna risulta sì molto regale ed elegante, anche in virtù del bel trattamento con cui sono state ritratte le pieghe delle sue vesti e quelle del Bambino, ma ha un volto materno e affettuoso che risulta abbastanza originale rispetto all’iconografia bizantina che vede invece un’impostazione più severa e austera.
Lo storico locale Iannacchino avanzò l’ipotesi che il ritrovamento della sacra immagine possa essere avvenuto tra XI e XII secolo. A sostegno di questa ipotesi nei suoi studi riportò un documento del 1151 ove il papa Adriano IV riportava il possedimento di un’abbazia dedicata a Santa Maria de Strada. Un secondo storico laurentino, il Vigliotti, di contro addusse che il documento di papa Adriano IV si riferisse a un’altra chiesa ubicata nel Contado del Molise, motivo per cui datò le prime notizie relative al XVI secolo, come si può riscontrare da una lettera scritta nel 1653 da mons. Marioni, ove attestò che una «immagine miracolosa si scoverse (scoprì), secondo dicono, cento anni addietro».
Il mons. Pietro Paolo de Rustici nel 1636, durante una visita al convento, appartenente agli agonistiniani, chiese le chiavi del tabernacolo ai frati, ma per tutta risposta questi gli risposero che l’edificio non era soggetto a giurisdizione vescovile, ragione per cui interdì la chiesa; di tutta risposta circa trecento laurentini, sobillati dai frati, si armarono e gridarono contro il monsignore, costretto poi a revocare l’interdizione; alla richiesta del viceré di Napoli, di non interferire, il vescovo scrisse che «[…] il Monastero non godeva e né poteva godere l’esenzione, perché non aveva quel numero di frati voluto dalle leggi canoniche e che questi, non più di due, erano riguardati come Cappellani, perché sovvenzionati dall’Università di San Lorenzo». Nel 1652 la Congregazione per i Vescovi dichiarò soppresso il convento e ordinò al monsignor Marioni di eseguire l’inventario dei beni mobili. Il vescovo nel febbraio 1653 comunicò agli eletti dell’Universitas la soppressione del convento, richiedendo la stesura dell’inventario, ma gli eletti ricorsero al Regio Consiglio Collaterale, avendola vinta. Successivamente il vescovo mons. Marioni, in una lettera indirizzata al Regio Consiglio Collaterale, scrisse che il convento non era un convento regolare «[…] ma una Cappellania esercitata da due Sacerdoti dell’Ordine di S. Agostino […] stipendiati dall’Università […] che era spesso asilo, e refugio dei malandrini, et assassini, li quali da esso escono a depredare li viandanti». Il 22 dicembre 1653 mons. Marioni ordinò agli economi della chiesa di prendere in consegna i beni mobili e due giorni dopo, il 24 dicembre, ordinò
ai monaci lo sfratto che puntualmente non fu eseguito. Il vescovo, servendosi della bolla di papa Innocenzo X Instaurandae, interdì la chiesa, ma un frate nel giorno di San Marco vi celebrò incorrendo nella scomunica. Gli eletti dell’Universitas di San Lorenzo ricorsero al vescovo chiedendogli di perdonare il frate e di togliere l’interdizione al luogo sacro, al che mons. Marioni acconsentì.
Nel 1640 il convento passò ai padri coloritani di Sant’Agostino che nel 1681 erano in numero di dodici. Il terremoto del 5 giugno 1688 provocò dei danni alla chiesa e al convento e in seguito, come scrisse mons. Giovanni Battista de Bellis, il luogo sacro era usato per ospitare i frati per castigo. I padri coloritani si resero responsabili, così come gli agostiniani, di varie infrazioni e angherie, per esempio nel 1690 lapidarono un certo Lorenzo Paladino, colpevole di aver colto dei fichi da un albero sito nelle vicinanze.
Nell’estate del 1704, durante una visita di Biagio Gambaro, questi trovò i contadini stremati dalla siccità che aveva rovinato il raccolto, così l’icona mariana venne fatta portare in processione e subito dopo venne a piovere, con somma felicità degli abitanti del paese. Nel 1754 l’Universitas affidò il convento ai frati francescani che lo tennero sino agli inizi del XIX secolo, quando il complesso religioso fu abbandonato e divenne sede di briganti e di vagabondi. Nel 1824 mons. Longobardi ordinò di utilizzare le pietre del complesso religioso per ristrutturare la Collegiata di San Lorenzo. Tra il 1850 e il 1860, a devozione dell’arciprete Giuseppe Romanelli, la chiesa fu ricostruita nelle forme odierne.Santuario-di-Santa-Maria-della-Strada
Il culto relativo alla Madonna della Strada è ancora oggi molto sentito presso i laurentini, come del resto attestano i festeggiamenti dedicati alla stessa Madonna che si svolgono la prima domenica di giugno, quando l’icona, decorata da ex-voto, viene portata in processione per tutte le strade del paese. Il venerdì immediatamente precedente si assiste a un rito molto particolare, varrebbe a dire l’offerta dei cuori, un’offerta di doni che gli abitanti portano alla Madonna quale segno di devozione e gratitudine. Il 29 giugno la sacra immagine viene portata in processione dalla Chiesa Madre di San Lorenzo Martire, ubicata nel centro cittadino, fino al Santuario di Santa Maria la Strada, più esattamente all’interno della Cripta. La prima domenica di luglio ha luogo la Sagra delle Regne: davanti al Santuario vengono fatti sfilare dei carri trainati da trattori (in antico da buoi), che portano covoni di grano adorni di nastri, coccarde, fiori, immagini sacre, palloncini, carri che vengono poi benedetti. Tale festa ha retaggi pre-cristiani da individuare nei riti propiziatori che i contadini dedicavano alle divinità preposte all’agricoltura, in particolare Cerere, a cui offrivano i frutti della terra con l’intento di garantirsi il favore divino per una buona riuscita del raccolto. La domenica immediatamente successiva l’icona viene riportata di nuovo in processione fino alla Chiesa Madre di San Lorenzo.
La Chiesa è caratterizzata da una facciata molto semplice, mentre l’intero appare più strutturato, formato da un’unica navata affiancata da cappelle, cinque per lato, due più alte, in antico contenenti degli altari, tre più basse, ospitanti originariamente delle probabili statue. Tali cappelle sono inframmezzate da pilastri corinzi, mentre le pareti risultano decorate da vari ornamenti tardo-barocchi in stucco, caratterizzanti cornici mistilinee, cherubini, volute e cartocci. L’altare maggiore, in marmi policromi, si trova oggi all’interno della Chiesa di San Lorenzo Martire, mentre alcuni gradini, la Scala Santa, che un tempo si percorrevano in ginocchio, portano alla Cripta, che si segnala per i fini ornamenti tardo-barocchi, il pavimento in maioliche e il piccolo altare in
marmi policromi, oltre che per la fessura in cui fu ritrovata la sacra immagine. Degno di menzione è anche il Convento, di cui le parti più antiche sono i muri perimetrali affiancanti l’arco d’entrata e il particolare pozzo centrale. La struttura, dopo anni di abbandono, è stata inaugurata il 14 dicembre 2017, dopo un recupero molto complesso portato avanti dagli architetti Carlo Barberio, Maurizio Di Donato e Pasquale Mei e dagli ingegneri Angelo Di Libero, Francesco Durante, D’Orsi Luigi e Francesco Iacono. Per quanto riguarda la fruizione al pubblico, merita di essere citata la lodevole iniziativa realizzata dall’associazione “Aminum debes mutare” che il 14 aprile 2018 ha organizzato al suo interno il FAS-Festival di Archeologia Sperimentale, manifestazione incentrata su laboratori di vario tipo finalizzati ad avvicinare i giovani all’archeologia e alla storia romana, unitamente ad assaggi di prodotti tipici locali, incontri teatrali, letterari e musicali, iniziativa che ha riscontrato molto successo e che merita di essere ripetuta.
Bibliografia
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Vincenzo Mazzacca, Gli antichi mestieri. Parte seconda di Civilità Contadinai. Provincia di Benevento e altri luoghi, Sulmona 1989.
Vincenzo Mazzacca, I Nostri Paesi. Parte III di Civiltà Contadina. Immagini di vita paesana e religiosa. Governo in antiche Università locali del Sannio, Ceppaloni 1996.
Vincenzo Mazzacca, I contadini e gli emigranti. Parte IV di Civilità Contadina. Ricerche archivistiche e cronache locali della Valle Telesina e di altri luoghi del Sannio, Ceppaloni 1997.
Vincenzo Mazzacca, San Lorenzo Maggiore e dintorni fra le valli Telesina e del Titerno, Ceppaloni 1998.
Renato Pescitelli, Chiesa Telesina: luoghi di culto, di educazione e di assistenza nel XVI e XVII secolo, Auxiliatrix 1977.
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Sitografia
Voci: “Chiesa di Santa Maria della Strada (San Lorenzo Maggiore)”, “San Lorenzo Maggiore” e “Janara” in it.wikipedia.org; “Conosciamo i nostri luoghi della fede: “Madonna Della Strada” in san Lorenzo Maggiore” in diocesicerreto.it; “San Lorenzo Maggiore si rinnova il culto della Madonna della Strada” in ilquaderno.it; “A San Lorenzo Maggiore inaugurato il convento di Santa Maria della Strada” in ntr24.tv; “Santuario Maria SS. della Strada – S.Lorenzo Maggiore (Benevento)” in viaggispirituali.it; “La leggenda del dipinto di Santa Maria della Strada” e “La sagra delle regne – 2009” in www.sanlorenzomaggiore.net; “Inaugurato Convento di Santa Maria della Strada a San Lorenzo Maggiore (BN)” in infosannio.wordpress.com; “San Lorenzo Maggiore: cosa vedere e cosa fare” in viaggiart.com; “Itinerario mariano nel Sannio” in digilander.libero.it; “San Lorenzo Maggiore. Il programma della Festa della Madonna della Strada” in emozioninrete.com; “Le janàre” in grottadellejanare.it; “Festa delle regne” in eventiesagre.it; “Chiesa: Madonna della Strada in San Lorenzo Maggiore” in www.gaetanoroberto.it/i-luoghi-dello-spirito.html.

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