“Viaggio nella bellezza” di Luisa Palazzo, Storica dell’arte, presidente dell’associazione culturale Horus
Viaggio nella bellezza, si propone di salvare una perla nel cuore di Capodrise, la cappella di Sant’ Antonio Abate. Un progetto di crowfunding, organizzato dall’ associazione Horus, in collaborazione con la parrocchia Sant’ Andrea Apostolo Immacolata che prevede l’ utilizzo di una piattaforma virtuale, dove ognuno può lasciare il proprio contributo, attraverso un codice iban.
La cappella versa in un cattivo stato di degrado, per il problema dell’ umidità di risalita, i colori hanno perso la loro cromia originaria, lacunosa in più parti.
Urge un intervento di restauro immediato che faccia leva sui danni strutturali.
Il progetto che rientra in un iter di valorizzazione, iniziato a luglio 2018, con la mostra divina bellezza, garantisce la continuità e la condivisione, rafforzando il senso di appartenenza, attraverso il pilastro portante della memoria storica.
L’architettura è tardo gotica, come si evince dalla copertura a volta e dalle piccole finestre strombate. Al centro del piccolo scrigno, una lapide con le effigie dei De Filippo, nel 1482, risultava già di proprietà della famiglia. Nel 1656, il paese, fu colpito dalla peste, molte persone furono sepolte nelle chiese campestri, il parroco De Filippo, vide sepoltura nella piccola chiesetta, ius patronato della sua famiglia. Poi utilizzata come riunione degli eletti della università del feudo di Acerra, di cui Capodrise faceva parte. Nel 1955, venne definita oratorio pubblico. L’ uso era limitato alla festa del 17 gennaio, in occasione del santo patrono. Nel 1909, risultava divisa in 2 porzioni, la chiesa di Sant’ Andrea Apostolo, come prima porzione, la cappella come seconda. Il terremoto dell’ 80 fu ulteriore causa di degrado strutturale.
Solo dopo questo infausto episodio naturale, 80/84, si riuscì a provvedere per un mirato progetto di restau – ro, sia architettonico che dei dipinti.
Al restauro del manufatto, iniziato nel 1990, provvidero gli esperti : A. Benvenuto di Caserta, per le architetture e Giuseppe Maietta di Marcianise che intervenne sugli affreschi.
Dopodiché, la chiesetta è divenuta un prezioso scrigno d’ arte pittorica oltre che un interessante contenitore di storia locale, nonostante le gravi precarietà citate.
Per la committenza e la fattura, i dipinti, sono databili ad un periodo che può comprendersi tra i secoli XIV e l’inizio del XVI . Ce lo suggeriscono il ductus pittorico ed i colori dei tanti maestri frescanti, nonché la sovrapposizione di strati diversi “d’intonaco dipin- to” e da ultimo, le date presenti sulle immagini, le simbologie sottese ed i riferimenti artistici e tecniche d’esecuzione.
Gli affreschi, pertanto, fanno parte di un ciclo pittorico nient’affatto omogeneo né unitario, sia sotto il profilo temporale che sotto quello della committenza. Essi, infatti, riproducono temi e soggetti cristiani completamente diversi tra loro, ovvero santi vari e momenti religiosi e/o scene tutte senza una logica unitaria .
Nella calotta absidale,l’affresco, frontale e maggiore, sono rappresentati, la Madonna in trono con il Figlio sulle ginocchia, tra i santi Giovanni Evangelista, a destra, e un barbuto sant’Antonio abate, a sinistra, mentre ai loro piedi, e non a caso, si notano le figure dei devoti committenti e una dicitura reci tante della volontà manifestata per la fattura dell’opera e della loro devozione.
A lato sinistro dell’ “arcone del catino”, sta frontalmente dipinta, una Madon- na delle Grazie, seduta su di un ricco stallo, sotto la cui figura è presente la data 1512 ed il nome De Philippo. Trattasi di un bella ed elegante Madonna con bambino, ammantata e con dei fiorel- lini, realizzati alla svelta, sulla veste. Di sapore squisitamente 400centesca, la Vergine verosimil- mente sembra apparentarsi col san Giorgio di cui si dirà appresso. A lato destro dello stesso arco- ne, sempre frontalmente, si nota la faccia e l’aureola di un Sant’Antonio Abate, ma l’intera figura (saio e mantello) è andata praticamente perduta per una vasta caduta d’intonaco dipinto.
Tra gli affreschi è notevole, sulla parete destra, anche un San Giorgio che uccide il drago. Il santo, nelle vesti di soldato e fiero combattente, è seduto su di un cavallo bianco e mostra una splendida armatura di colore grigio. La presenza di questa figura di santo nella nostra area culturale di Terra di Lavoro, riesce davvero foriera di non pochi interrogativi e dunque, appare significativamente interessante. Infatti, essa è senz’ altro da ricollegare allo stile cortese dell’ inizio del Quattrocento, nel regno degli angioini, dove le influenze nordiche sono filtrate dalla cultura napoletana. Sicché la sua raffigurazione, ha qui ha un valore di simbolo di un “mondo raffinato cui, purtroppo, spesso corrispondeva un esteso disordine sociale nonché una politica miope ed a lungo permeata solo da intrighi di corte che, come risulta, caratterizzò quella temperie storica”. E, in definitiva, in questo tipo di raffigurazione, il ricco committente vuol manifestare il suo stato di nobiltà ed esibisce, perciò, l’appartenenza ad una classe privilegiata.
Dott.ssa Luisa Palazzo